Nel passato - Zampognari MarcAntonio

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Nel passato

 
 
Breve storia degli aerofoni a sacco
 
«Dove c’è un otre c’è una zampo­gna». Questo assunto, pur se improprio e applicabile al solo àmbito musicale, dà il senso di quella che è la caratteristica essenziale e distintiva degli stru­menti appartenenti ad una precisa ca­tegoria: gli aerofoni a sacco. Vale a dire i fiati ad ancia con canne sonore ali­mentate tramite un otre che funge da riserva d’aria per il suonatore.
 
Gli aerofoni a sacco sono presenti in Europa e in alcune aree extra europee, in una varietà tanto ampia di tipi e mo­delli da rendere difficoltosa una loro ca­talogazione precisa e completa.

 
Origine degli aerofoni a sacco
 Una delle questioni più dibattute è stata quella dell’origine storica degli ae­rofoni a sacco. Su tale argomento, Curt Sachs [Storia degli strumenti musicali, Milano 1985, pp. 159-160] scrive: «L’origi­ne della zampogna è sconosciuta. Su un rilievo del tredicesimo secolo a.C. ap­partenente al palazzo ittita di Eyuk stu­diosi troppo frettolosi credettero d’aver scoperto la prima zampogna; in realtà il sacco è la vittima animale d’un sacrifi­cio e le due “canne” sono solamente due nastri che pendono dalle due corde d’un liuto portato dinanzi l’offerta sa­crificale. Pure un errore è stato quello di intendere come zampogna la parola aramaica sumponiah che ricorre nel Libro di Daniele […]. E ancora abbiamo di­mostrato come uno strumento del ge­nere non sia potuto essere presente in Israele e nella Grecia classica. La prima zampogna della quale si ha notizia si­cura risale al I secolo d.C. […]. Lo stru­mento poteva essere stato importato da poco dall’Asia, e come le moderne zam­pogne asiatiche, era probabilmente mu­nito d’un clarinetto o d’un clarinetto doppio».
Nell’indagine sulle ere antiche, lo storico dell’organologia ha quasi sem­pre a disposizione documenti fram­mentari e non soddisfacenti. Tale limite rende impossibile l’esatta ricostruzione della nascita, dello sviluppo e della conservazione degli strumenti musicali.
Essendo le cornamuse aerofoni ad ancia, l’analisi di queste fasi storiche trova avvio da un’epoca in cui ebbero ampia diffusione e fortuna alcuni og­getti sonanti costituiti da canne multi­ple munite, appunto, di ancia. Baines annota come, già cinque millenni fa, gli antichi flauti di canna, legno od osso, iniziassero ad essere sostituiti da una «serie di tubi ad ancia che da quel mo­mento in poi in pratica monopolizzaro­no la musica per strumenti a fiato del­l’antichità, culminando nell’aulos greco e nella tibia romana».
Tra tali strumenti, assicuravano par­ticolari vantaggi musicali quelli a più canne. Il doppio aulos era formato da due tubi sonori utilizzati «quasi sempre in coppia: il suonatore reggeva una canna per ciascuna mano e suonava entrambe simultaneamente» [A. Baines Storia degli strumenti musicali, Milano 1983, pp. 235-236]. La varietà delle tecniche ese­cutive sarà apparsa sbalorditiva al mu­sicista abituato a suonare su strumenti a fiato con canna singola.
Gli auloi, come detto, erano muniti di ancia. È difficile risalire all’epoca preci­sa in cui questo particolare dispositivo fu introdotto negli strumenti a fiato. André Schaeffner [Origine degli strumenti musicali, Palermo 1987, p. 301] conside­ra l’ancia «semplice, battente, […] fra i processi sonori più antichi e più diffu­si». Egli, infatti, si chiede: «Una volta giunti all’idea della canna, come non pensare di sollevarne dalla parete un frammento?».
È certo che aerofoni di canna, coevi dell’aulos e con ancia sem­plice, esistevano nei territori del bacino del Mediterraneo, così come anche oggi è possibile trovarne, ma le fonti iconografiche più attendibili fanno propende­re per l’uso dell’ancia doppia in gran parte degli auloi greci ed etruschi e nelle tibiae latine, pur s’è indiscussa la pre­senza di tipi ad ancia semplice.
Si conoscono vari oboi antichi suo­nati in coppia. Curt Sachs [op. cit., p. 157] ne segnala alcuni: «Greci e Romani pos­sedevano numerose specie di oboi dop­pi. Il più importante era l’oboe doppio fri­gio che aveva le due canne di lunghezza differente, con la più lunga ricurva ver­so il fondo e terminante con un largo padiglione simile a quello d’una trom­ba; i fori per le dita erano posti ad altez­za diversa in ognuna delle due canne, le quali avevano […] piccolo diametro. Una denominazione greca per quest’o­boe doppio era auloi élymoi. L’oboe doppio lidio, invece, che venne indicato dai Ro­mani con la denominazione tibiae serranae (fenicie), aveva canne di eguale lunghezza e coi fori per le dita in identi­ca posizione. Le canne dell’oboe doppio erano ricavate in diverse misure e in diversi tagli d’altezza sonora».
I Romani attuarono sulle tibiae una classificazione piuttosto netta, che di­stingueva gli strumenti in due gruppi principali: tibiae pares e tibiae impares, che corrispondono a canne di lunghez­za uguale o diseguale, come nei casi de­gli oboi frigi e fenici poc’anzi ricordati nella descrizione di Sachs. Significativamente, ancora oggi, tra le zampogne italiane, ce n’è un tipo che è detto a paro (ciaramedda calabro-siciliana) poiché ha, come le antiche tibiae serranae, i chanter di medesime dimensioni.
Il principale problema esecutivo per i suonatori di auloi e tibiae era l’effettua­zione della tecnica del fiato continuo, necessaria ad ottenere il suono ininter­rotto. Ciò, sicuramente, indusse qualcu­no a pensare ad una riserva d’aria da usare ogni qualvolta si doveva riprendere fiato: un otre da applicare allo stru­mento e che, collegato alle canne sono­re, poteva alimentarle in modo conti­nuo. Pronunciarsi con certezza su quan­do e dove ciò avvenne è difficile, pur se indicazioni importanti possono aiutarci in tal senso. Il fatto, ad esempio, che fino a tutta l’epoca preimperiale romana non si riesca a trovare prova inconfuta­bile dell’esistenza d’una zampogna, ci dà l’idea di come lo strumento dovesse essere sconosciuto (o noto solo margi­nalmente).Alcuni hanno creduto di individuare una suonatrice di zampogna nei versi del componimento noto come Copa Surisca (Ostessa Siriana), attribuito a Virgilio ma quasi certamente d’altro autore, sep­pure coevo del poeta mantovano. L’o­stessa citata nei versi era capace di bal­lare e far vibrare delle stridule canne sotto un gomito: «Copa Surisca caput graeca redimita mitella / crispum sub crotalo docta movere latus, / ebria formosa saltat la­sciva taverna, / ad cubitum raucos excutiens calamos». Tale descrizione, però, è troppo indeterminata; in nessun modo autorizza a identificare l’uso di una zampogna.
Le prime notizie sull’uso certo d’uno strumento musicale a sacco risalgono al periodo della Roma Imperiale. In uno dei suoi Epigrammi, Marziale (40 ca, 104 d.C.), utilizzando un vocabolo composto di derivazione greca, menziona l’ascaules Cano: «…credis hoc Prisce? / voce ut loquatur psittacus coturnicis / et concupiscat esse Canus ascaules?» [Epigr. 3, 10]. Il so­stantivo ascaules indica sicuramente uno zampognaro. In greco, ascos sta per sacco e aulos per piffero ad ancia; per­tanto, l’unione di queste due parole equivale ad altri vocaboli composti in uso negli idiomi di varie culture e che identificano gli aerofoni a sacco (inglese bagpipe, tedesco sackpfife, belga pijpzak, svedese säckpipa).
Il biografo latino Svetonio (70 ca, 140 ca), nel De vita Cesarum [Nero, 54], scrive che Nerone «sub exitu quidem vitae palam voverat, si sibi incolumis status permansisset, proditurum se partae victoriae ludis etiam hydraulam et choraulam et utricularium». Quindi, Nerone (37-68 d.C.) era in grado di suonare tre strumenti, sapen­do fare l’utricularius (zampognaro), cioè il suonatore di utriculus (zampogna). An­che Dione di Prusa (40 ca, dopo il 112 [115?]), in un passo riferito allo stesso Nerone [Orat. LXXI, 9], afferma come l’imperatore sapesse suonare la tibia e contemporaneamente comprimere col braccio un sacco.
Oltre queste citazioni su Cano e Ne­rone, non vi sono, allo stato attuale del­le conoscenze, incontrovertibili attesta­zioni precedenti; ancorché si conosca una leggenda che narra come Giulio Ce­sare, nel 55 a.C., impegnato nella con­quista dell’isola britannica, sia riuscito a sconfiggere i nemici grazie al suono del­le zampogne usate da alcuni suoi solda­ti. Ma si tratta solo d’un racconto mitico, senza nessuna concreta attendibilità storica. Anche se c’è da segnalare come siano state interpretate quali zampogne da guerra (war pipes) gli strumenti a fia­to usati dall’esercito romano-bizantino nelle battaglie contro i Goti (VI secolo d.C.) descritte nella Storia delle guerre di Giustiniano, opera dello storico Procopio di Cesarea, secondo il quale il segnale dell’attacco militare era dato col suono di strumenti fatti di cuoio e legni sottili [cfr. A. Baines, Bagpipes, Oxford 1979, p. 67]. La descrizione di Procopio, però, non convince; è troppo vaga ed eccepibile.
Nel settore delle attestazioni lettera­rie, dovrà passare un periodo lungo pri­ma di rintracciare nuovamente la reale descrizione di una zampogna. Nell’Epi­stola ai Dardani (IX secolo), si legge: «Antiquis temporibus fuit chorus quoque simplex, pellis cum duabus cicutis aereis, et per primam inspiratur, secundam vocem emittit». Secondo tale descrizione, il chorus era un aerofono fornito di pelle, con un tubo per l’alimentazione e una can­na per suonare; quindi, una cornamusa “elementare” realizzata con fusti di cicuta, una pianta la cui utilizzazione per costruire strumenti musicali era già sta­ta segnalata nei testi di epoca classica.
Per comprendere le caratteristiche delle antiche cornamuse romane e di quelle in uso nei primi secoli del me­dioevo, sarebbe fondamentale poter os­servare le loro raffigurazioni. Purtroppo, nel campo iconografico, è pressoché to­tale la carenza documentaria relativa a tali periodi storici. Per quanto riguarda l’utriculus, né l’arte figurativa né l’ar­cheologia hanno conservato immagini originali; benché di tale strumento lati­no ci sia pervenuta l’effigie riprodotta postuma, in libri stampati dopo molti secoli dall’effettiva epoca in cui esso era in uso. Nel De tribus generibus instrumentorum musicae [Roma 1742] di Francesco Bianchini sono incluse le raffigurazioni di due zampogne romane (o presunte tali). Un altro autore, Francesco de’ Ficoroni, ne Le maschere sceniche e le figure comiche d’antichi romani [Roma 1736, pp. 214-218, tav. LXXXIII], descrive e fa stampare l’illu­strazione d’una corniola dell’antica Roma raffigurante un saltatore (ballerino) nudo, con in mano un aerofono a sacco (o qualcosa di molto simile).
Nella storia della zampogna, l’alto medioevo costituisce una sorta di “bu­co”; un vuoto di notizie che sembra im­possibile riuscire a colmare.
La raffigurazione d’una zampogna italiana medievale è riprodotta nel Sal­terio polironiano, una miniatura d’inizio XII secolo; ma anche qui siamo in un terreno quanto mai controverso, soprat­tutto per effetto dell’opera del miniatu­rista, non si sa quanto fedele e attendi­bile rispetto agli strumenti realmente in uso a quel tempo.
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